Descrizione
Le otto vitamine del complesso B funzionano in modi diversi per aiutare gli enzimi a svolgere le migliaia di trasformazioni molecolari nel corpo e sono quindi conosciute come coenzimi. Tutte le vitamine B sono sostanze idrosolubili che possono essere ottenute da batteri, lieviti, funghi o muffe. Le vitamine conosciute del complesso B sono B1 (tiamina), B2 (riboflavina), B3 (vitamina PP o nicotinamide), B5 (acido pantotenico), B6 vitamine b 6) (piridossina, piridossale, piridossamina), B12 (vit b12) (cobalamina), biotina, e acido folico, (folato, folacina, acido pteroilglutammico). Il loro raggruppamento sotto il termine di complesso B è basato sulla provenienza comune, sul loro stretto collegamento nei tessuti animali e vegetali e sui loro rapporti funzionali.
Ci sono tre sostanze, chiamate non-vitamine B che vengono spesso erroneamente considerate come vitamine.
Esse sono inositolo, colina, (che cede parte della sua struttura alla lecitina) e acido lipoico. Queste sostanze nutritive non fanno parte delle vitamine essenziali del complesso B, ma sono coenzimi che aiutano il metabolismo e si trovano in una grande varietà di alimenti. Altre sostanze considerate erroneamente vitamine B sono l’acido para-aminobenzoico (PABA), i bioflavonoidi (vitamina P) e l’ubichinone. La vitamina B15 (qualche volta viene chiamato così l’acido pangamico), la B17 è laetrile, la BT, carnitina, è una componente importante delle cellule ma non è una vitamina.
Le vitamine del complesso B forniscono energia all’organismo convertendo i carboidrati in glucosio, che l’organismo “brucia” per produrre energia. Sono fondamentali nel metabolismo dei grassi e delle proteine. Inoltre, le vitamine B sono necessarie per il normale funzionamento del sistema nervoso e si possono considerare il fattore principale per la salute dei nervi. Sono essenziali per il mantenimento del tono muscolare nel tratto gastrointestinale e per la salute della pelle, dei capelli, degli occhi, della bocca e del fegato.
Tutte le vitamine del complesso B sono costituenti naturali del lievito di birra, fegato e cereali integrali. Il lievito di birra è la fonte naturale più ricca del gruppo B. Un’altra importante fonte di vitamine B è costituita dai batteri intestinali. Tali batteri si moltiplicano in modo ottimale nel lattosio e in piccole quantità di grasso.
Assimilazione e immagazzinamento
A causa della idrosolubilità delle vitamine B, qualsiasi eccedenza viene eliminata e non viene immagazzinata. Quindi esse devono essere continuamente reintegrate. Tutte le vitamine B mischiate con la saliva vengono prontamente assorbite.
I sulfamidici, i sonniferi, gli insetticidi e gli estrogeni creano nel tratto digerente le condizioni tali da distruggere le vitamine B. Alcune vitamine B si perdono durante la traspirazione. Seguire una dieta che non prevede il consumo di latte o ingerire sulfamidici e antibiotici può portare alla distruzione della flora batterica intestinale.
Dosaggio e tossicità
La cosa più importante da ricordare è che tutte le vitamine B vanno prese insieme. Esse sono così strettamente collegate tra di loro che un alto dosaggio di una di esse potrebbe rivelarsi terapeuticamente inefficace o causare una carenza delle altre. Per esempio, se si prende della vitamina B6 da 50 milligrammi in su, è importante accompagnarla con un complesso B completo, non tutto in un dosaggio da 50 milligrammi, ma ciascuna vitamina dosata proporzionalmente secondo le quantità stabilite dalla Accademia Nazionale delle Scienze per un normale mantenimento. Per esempio, la dose raccomandata per un adulto di vitamina B6 è 2 milligrammi. 50 milligrammi è 25 volte la dose raccomandata. Le vitamine B che accompagnano la B6 devono essere incrementate 25 volte.
Usando l’acido folico come esempio, essendo la dose per un adulto per questa vitamina B di 400 microgrammi, moltiplicandola per 25 risulterà essere di 10.000 microgrammi, o 10 milligrammi. In caso di carenza di una o più vitamine del complesso B, causata da una malattia o da un’assunzione alimentare insufficiente, devono essere assunte dosi supplementari di quelle mancanti in modo di ristabilizzare l’equilibrio globale.
In natura noi troviamo il complesso B nel lievito, nelle verdure a foglia verde, ecc., ma da nessuna parte troviamo una singola vitamina B isolata dalle altre. Molte delle preparazioni di vitamine B isolate che noi troviamo sono sintetiche o almeno non più nella loro forma naturale. Queste vitamine B sintetiche sono usate soprattutto per superare serie deficienze in casi di gravi condizioni fisiche per le quali sono necessari risultati rapidi. Quando si assumono degli integratori è molto importante ricordare che le vitamine B producono diversi effetti per i diversi individui; per questo motivo eccessi o insufficienze possono essere dannosi.
E’ necessario assumere la vitamina B6 approssimativamente nelle stesse quantità delle proteine. Le dosi dietetiche raccomandate di proteine sono 100 g per gli uomini e 60 per le donne. La somministrazione del folato in caso di carenza di vitamina B12 può causare sintomi neurologici gravissimi che possono portare alla paralisi e a danni permanenti del sistema nervoso. L’overdose di non-vitamine B può causare disturbi gastrointestinali, sudorazione, salivazione, e anoressia ma anche disturbi a lungo termine del sistema nervoso e cardiovascolare.
Effetti da carenza e sintomi
Se una persona è stanca, irritabile, nervosa, depressa o persino con tendenze suicide, va sospettata una carenza di vitamina B. Capelli grigi, perdita di capelli, calvizie, acne o altri problemi della pelle indicano una carenza di vitamine B. Scarso appetito, insonnia, nevrite, stitichezza o un alto livello di colesterolo, sono anch’essi indicatori di una deficienza di vitamine B. Un cuore troppo grosso, aritmie cardiache o insufficienza cardiaca, sono sintomi di carenza. Deperimento, debolezza, dolore, abbassamenti di umore e confusione mentale, ipersensibilità alla luce e arrossamento degli occhi indicano una carenza. Una lingua ingrossata, lucida di colore rosso chiaro o una lingua nera, liscia e piena di rughe stanno ad indicare una mancanza di vitamine B.
La carenza di una sola vitamina del complesso B è possibile solo nel caso di due malattie: beri-beri e pellagra. Il beri-beri venne scoperto per la prima volta in Estremo Oriente, con la diffusione del riso brillato (togliendo la buccia del riso si toglieva anche la tiamina). La pellagra si diffuse nella parte sud occidentale degli Stati Uniti al cambio del secolo, quando la dieta consisteva prevalentemente di proteine a basso valore biologico e mais in abbondanza. Questa dieta era carente di niacina e del precursore dell’aminoacido triptofano. Queste malattie sono ormai scomparse negli Stati Uniti e in Canada, ma carenze meno gravi continuano a esistere, soprattutto tra coloro che fanno scelte alimentari sbagliate a causa di ignoranza, malattie o alcolismo.
Gli etilisti e coloro che consumano eccessive quantità di carboidrati necessitano di una maggiore quantità di vitamine B per il proprio metabolismo. L’alcool ha la tendenza a distruggere alcune delle vitamine del gruppo B come la tiamina, la riboflavina e l’acido folico (l’acido folico non viene assorbito e viene eliminato). Come lo zucchero, l’alcool contiene un’alta percentuale di carboidrati, ma non vitamine o minerali. Dato che le vitamine del complesso B sono essenziali per la sintesi dei carboidrati, è molto difficile, per l’organismo saturo di alcool, utilizzare queste sostanze nutritive per la creazione di energia.
Un motivo per cui la carenza di vitamine B è così comune tra la popolazione americana è che gli americani mangiano moltissimi cibi trattati industrialmente nei quali le vitamine B sono state spesso rimosse. Qualche volta, ma non sempre, queste vitamine vengono reintegrate dal fabbricante - un procedimento chiamato integrazione o arricchimento. L’integrazione di sostanze nutritive ai cibi industriali come i cereali o il pane, ha ridotto drasticamente l’incidenza della carenza di ferro e vitamine del complesso B. Recentemente anche l’acido folico è stato aggiunto alla lista delle sostanze da integrare. A causa del fabbisogno sia di folato che di vitamina B12, i vegetariani sono maggiormente esposti a carenze di vitamina B12, perché le grandi quantità di folato assunte con la dieta vegetariana sconvolgono l’equilibrio.
L’acido pantotenico e la biotina sono disponibili in molti alimenti, e la carenza di queste sostanze non è frequente nelle persone che hanno una dieta variata. Tuttavia, una causa di questa carenza diffusa è la notevole quantità di zucchero che si consuma. Lo zucchero favorisce la produzione di una flora batterica anormale, disturbando così la produzione di alcune delle vitamine del complesso B. Lo zucchero inoltre è un carboidrato puro che non contiene vitamine, minerali o enzimi per favorirne la digestione. Invece esso prende rifornimento di elementi nutritivi da altre parti dell’organismo, impoverendo quelle aree di immagazzinamento. La mancanza del fattore intrinseco, (un enzima necessario per l’assorbimento della vitamina B12) può causare una carenza chiamata anemia perniciosa che viene curata con iniezioni di vitamina B12. La carenza di biotina è stata riscontrata negli adulti alimentati per via endovenosa; anche in queste circostanze però la flora batterica intestinale è capace di sintetizzare una quantità della sostanza nutritiva sufficiente per far fronte alle necessità. La carenza diventa apparente solo quando viene somministrata contemporaneamente una terapia antibiotica e l’alimentazione per via endovenosa.
Il bisogno di vitamine del complesso B aumenta durante le infezioni e nei casi di stress. I bambini, gli adolescenti e le gestanti necessitano di una maggior quantità di vitamine del complesso B, (soprattutto acido folico) per una crescita cellulare rapida.
Effetti benefici nelle malattie
Le vitamine del complesso B sono state usate nel trattamento di overdose da barbiturici, psicosi alcoliche e deliri provocati da farmaci. Si è notato che una dose adeguata controlla mal di testa da emicrania e attacchi di sindrome di Ménière. Alcune disfunzioni cardiache hanno reagito all’uso del complesso B perché i nervi che agiscono sul cuore ne hanno bisogno per un regolare funzionamento. Dosi massicce di vitamine B sono state usate per curare la polio e per migliorare la condizione di bambini ipersensibili che non reagiscono positivamente a farmaci come il Ritalin, e per curare casi di herpes zoster. Individui nervosi e persone che lavorano in condizioni di tensione possono trarre beneficio dall’utilizzazione di dosi superiori al normale di vitamine del complesso B. La tiamina e la vitamina B6 sono di aiuto nelle situazioni di grande sforzo fisico. La vitamina B12 o il folato risolvono le anemie caratterizzate da grandi globuli rossi immaturi che si sviluppano in seguito ad una carenza.
Nausea e vomito post-operatori, causati dall’anestesia, possono essere trattati con successo con vitamine B. La quantità di vitamine B necessarie sembra essere in rapporto alla quantità degli ormoni sessuali femminili disponibili. Difficoltà mestruali sono spesso alleviate con piccole dosi. Le vitamine B possono anche contribuire ad un miglioramento nei seguenti casi: beri-beri, pellagra, stitichezza, bruciori ai piedi, gengive infiammate, bruciori agli occhi, stanchezza, mancanza diappetito, disfunzioni della pelle, screpolature agli angoli della bocca e anemia. La schizofrenia e il diabete migliorano con la somministrazione delle vitamine del complesso B (per maggiori informazioni, vedi le singole vitamine B).
TIAMINA (VITAMINA B1)
La tiamina è chimicamente costituita da un anello pirimidinico collegato ad un anello tiazolico; la sua forma biologicamente attiva è l’estere pirofosforico (TPP), che occupa un ruolo centrale nel metabolismo energetico cellulare. Esso infatti interviene come coenzima nella decarbossilazione ossidativa del piruvato, nella decarbossilazione ossidativa dell’à -chetoglutarato nel ciclo di Krebs e nella reazione transchetolasica nel ciclo dei pentosi fosfato. Nei tessuti animali la tiamina è presente sia in forma libera che esterificata come tiamina-monofosfato (TMP), tiamina-pirofosfato (TPP) e tiamina-trifosfato (TTP). Le forme più abbondanti sono la TPP (circa l'80%) e la TTP (5-10%). La trasformazione della tiamina in TPP è catalizzata dalla tiamina-pirofosfo-chinasi, enzima Mg-dipendente, ed avviene soprattutto nel tessuto nervoso. Sia la tiamina libera che la TMP circolano nel plasma legate all’albumina.
L’assorbimento della tiamina avviene principalmente a livello del duodeno, e si riduce gradualmente lungo il resto del tenue. La tiamina viene assorbita in vivo tramite due meccanismi: uno attivo, saturabile, probabilmente legato alla presenza di un carrier, e uno passivo, non saturabile (Gubler, 1988). Dei due meccanismi, il primo prevale a concentrazioni fisiologiche (£ 2 µM), mentre il secondo ad alte concentrazioni (Hoyumpa et al., 1982). In caso di abuso di alcool, l’assorbimento intestinale della tiamina viene notevolmente ridotto.
Carenza e tossicità
La deficienza di tiamina è associata ad alterazioni nel metabolismo dei carboidrati. Poichè ci sono scarse possibilità di immagazzinamento della tiamina, i primi disturbi metabolici appaiono dopo pochi giorni di assunzione di una dieta carente in vitamina B1.
Dalla deficienza cronica grave di vitamina B1 deriva una sindrome caratterizzata da alterazioni a carico del sistema nervoso, del sistema cardiovascolare e dell’apparato gastroenterico, nota come "beri-beri". Tale sindrome è ancora diffusa in alcune regioni dell’Estremo Oriente nelle quali il riso brillato rappresenta l’alimento basilare della dieta.
Deficienze acute, spesso legate ad alcoolismo o uso di droghe, provocano invece lesioni del sistema nervoso centrale con una sindrome nota come encefalopatia di Wernicke.
In caso di apporti elevati, una volta saturata l’albumina, l’eccesso di tiamina libera in circolo viene rapidamente escreto nelle urine principalmente sotto forma di tiocromo. Non sono stati rilevati effetti tossici con livelli fino a 500 mg al giorno per un mese (Commission of the European Communities, 1993)
Fonti alimentari e livelli di assunzione
La tiamina è largamente diffusa in forma libera e fosforilata negli alimenti di origine animale e vegetale. Nella maggior parte dei prodotti animali il 95-98% della tiamina si trova in forma fosforilata soprattutto come difosfato, mentre in quelli vegetali la vitamina si trova in forma libera. È molto diffusa nei vegetali: tra questi, i più ricchi sono i cereali, dove si trova soprattutto nel germe e nella crusca. Particolarmente ricco è anche il lievito di birra. Una certa quantità di tiamina viene persa durante la cottura degli alimenti (legumi circa 40%, carni circa 30%, uova circa 25% e cereali circa 10%) e durante i processi di raffinazione.
In Italia la deficienza tiaminica non viene identificata in forme clinicamente manifeste, ma è presente in forme marginali ed è generalmente associata con quadri e situazioni particolari quali la carenza proteico-energetica, l’alcolismo cronico, il malassorbimento o l’uso prolungato di farmaci. Tali situazioni sono frequenti nei soggetti anziani (Maiani et al., 1993). Per valutare lo stato di nutrizione in tiamina vengono misurati i livelli plasmatici di vitamina o l’attività della transchetolasi eritrocitaria. Diversi studi sono stati condotti in Italia su popolazioni anziane; la prevalenza di ipovitaminosi B1 va da un minimo del 10% (Porrini et al., 1987) ad un massimo del 25% (Maiani et al., 1993). Nello studio di Scaccini et al. (1993) l'apporto medio era di 0, 8 mg/die nei maschi e di 1,1mg/die nelle femmine.
L’apporto medio di tiamina nelle dieta italiana è stato stimato in 1,1 mg/die, con scarsa variabilità regionale (Saba et al., 1990).
Livelli di assunzione raccomandati
Il fabbisogno individuale in tiamina dipende, oltre che dallo stato fisiologico, dalla composizione della razione alimentare, dall'attività fisica e da fattori secondari che interferiscono con l'assorbimento e con il metabolismo, come l'alcool e il consumo abituale di farmaci.
Poiché la tiamina è principalmente coinvolta nel metabolismo energetico, i livelli di assunzione raccomandati di questo nutriente vengono definiti in funzione dell’introito energetico. In considerazione dei livelli di introito specifici riscontrati e della situazione relativa allo stato di nutrizione per la tiamina in Italia, non si ritiene di dovere modificare i livelli raccomandati riportati nella precedente edizione dei LARN, peraltro simili a quelli stabiliti dalla Commission of the European Communities (1993) e pari a 0,4 mg/1000 kcal, con un minimo di 0,8 mg nell’adulto nel caso di diete al di sotto delle 2000 kcal.
RIBOFLAVINA (VITAMINA B2)
La vitamina B2, sotto forma due coenzimi flavinici (flavinmononucleotide, FMN, e flavindinucleotide, FAD), costituisce il gruppo prostetico di enzimi che intervengono in diverse reazioni di ossido-riduzione.
In particolare:
decarbossilazione ossidativa dell'acido piruvico;
ossidazione degli acidi grassi e degli aminoacidi;
trasporto di elettroni nella catena respiratoria.
Negli alimenti la riboflavina è per la maggior parte presente in forma fosforilata. Dopo idrolisi ad opera di fosfatasi presenti nel lume intestinale, la riboflavina libera viene assorbita nell’intestino tenue. L'assorbimento avviene probabilmente con un meccanismo di trasporto mediato che richiede la presenza di un carrier specifico sulla membrana, a livello della mucosa dell'intestino tenue (Christensen, 1973; Megazy & Schwenk, 1983). Una volta assorbita, la riboflavina si lega a proteine plasmatiche (soprattutto albumina) e giunge al fegato ed ad altri tessuti, dove viene trasformata in FMN ed in FAD (Bates, 1994).
Carenza e tossicità
La sintomatologia carenziale di riboflavina consiste essenzialmente in un arresto della crescita e in alterazioni della cute (dermatite seborrica), della mucosa ai margini delle labbra (stomatite angolare) e dell’occhio (vascolarizzazione della cornea, congiuntivite e opacità delle lenti). Questi sintomi sono attribuibili ad un rallentamento dei processi anabolici oltre che ad una alterazione dell'assorbimento dei nutrienti, specie di quelli lipidici. Nell'uomo l'ariboflavinosi pura è rara, ed è associata di solito ad uno stato carenziale di altre vitamine del complesso B.
La deficienza in riboflavina può provocare una deficienza secondaria in ferro (con conseguente anemia ferropriva) ed in triptofano e niacina (con conseguente pellagra) (Bates, 1987).
Non sono stati rilevati casi di tossicità da riboflavina, poichè la quota non legata ad enzimi non viene accumulata, ma rapidamente escreta con le urine.
Fonti alimentari e livelli di assunzione
La riboflavina è tra le vitamine quella maggiormente distribuita in natura. È presente sia nel mondo vegetale che in quello animale. Le principali fonti sono: il lievito di birra, il latte, il fegato, il rene e il cuore di diversi animali, le uova e i vegetali a foglie verdi. Nei vegetali, la parte fogliare e le parti ad attiva crescita contengono molta riboflavina, ma quando la crescita cessa il contenuto diminuisce. Il latte, che è una buona fonte di riboflavina, è un alimento soggetto a tipiche variazioni stagionali (in estate tale contenuto aumenta), in rapporto diretto al tipo di foraggio utilizzato nell’alimentazione del bestiame.
Caratteristica della riboflavina è la sua sensibilità alla luce. Questa è la ragione per cui il latte dovrebbe essere venduto in involucri che lo mettano al riparo dalla luce. I metodi tradizionali di cottura determinano negli alimenti la perdita di piccole quantità di riboflavina, mentre l'uso eccessivo di acqua e la cottura prolungata dei vegetali può provocare una perdita notevole, essendo la vitamina idrosolubile.
Nel nostro Paese non sussistono stati di deficienza grave di riboflavina. Per valutare lo stato di nutrizione in questa vitamina si possono misurare i livelli plasmatici e/o effettuare un test di funzionalità della glutatione riduttasi eritrocitaria basato sulla determinazione del coefficiente di attivazione dopo aggiunta di FAD. Dagli studi condotti in gruppi di popolazione anziana si evince una prevalenza di circa il 20% di deficienza marginale (Fidanza et al., 1991; Maiani et al., 1993). Sempre nell’anziano, l'apporto medio di riboflavina è stato stimato in circa 1,3 mg nei maschi e 1,1 mg nelle femmine (Porrini et al., 1987; Scaccini et al., 1993).
Livelli di assunzione raccomandati
Dato il ruolo centrale di questa vitamina nel metabolismo energetico, il fabbisogno di riboflavina viene calcolato in funzione delle calorie introdotte. Un quantitativo di 0,6 mg/1000 kcal risulta, in base a diversi studi, in grado di assicurare un buono stato di nutrizione (National Research Council, 1989). Tale livello corrisponde all’incirca a quanto raccomandato dalla Commission of the European Communities (1993). I livelli di assunzione raccomandati variano naturalmente in funzione dell'età, del sesso e della condizione fisiologica dell'individuo. Negli adulti che assumono meno di 2000 kcal, il fabbisogno minimo di riboflavina è di 1,2 mg. Si adottano i livelli raccomandati europei che non si discostano sostanzialmente dai valori dei precedenti LARN.
BIOTINA
La biotina è una vitamina del gruppo B contenente zolfo. Il suo ruolo biochimico è ben conosciuto: è infatti il coenzima di diverse carbossilasi; agisce fissando inizialmente la molecola di CO2 e trasferendola successivamente alla molecola da carbossilare. La carbossilazione della biotina a carbossi-biotina utilizza il bicarbonato come donatore di carbossile e richiede la presenza di magnesio e di ATP. Nell'uomo, la biotina è il coenzima di quattro importanti carbossilasi, implicate nel metabolismo intermedio: la piruvato carbossilasi nella gluconeogenesi, la propionil CoA carbossilasi per il metabolismo del propionato; la metilcrotonil CoA carbossilasi per il metabolismo degli aminoacidi ramificati e l'acetil CoA carbossilasi nella sintesi degli acidi grassi (Wood & Barden, 1977).
L'uomo è del tutto incapace di sintetizzare la biotina; questa proviene essenzialmente dall'alimentazione e, per una piccola parte, dai microorganismi del tratto gastro-intestinale. La biotina introdotta con la dieta non è libera, ma legata alle proteine per mezzo di un residuo di lisina, (Marquet, 1977). La biotinidasi presente nel succo pancreatico scinde il legame biotina-lisina, liberando così nel lume intestinale la vitamina.
I meccanismi di assorbimento intestinale della biotina sono poco conosciuti nell'uomo. Studi sperimentali hanno dimostrato che la biotina viene assorbita nel digiuno e nell'ileo prossimale contro gradiente di concentrazione in presenza di sodio (Said et al., 1987; Spencer & Brody, 1964; Berger et al., 1972).
La biotina circola nel plasma sia in forma libera che legata alle proteina (a e ß-globuline e albumina) ma, attualmente non si conosce l'esistenza di una proteina vettrice specifica. La biotina libera rappresenta il studiata. La vitamina è presente in tutti i tessuti dotati di almeno 20% della biotina totale del plasma (Mock & Malik, 1992; Suchy & Wolf, 1982). La ripartizione della biotina nell'organismo non è stata sistematicamente una attività carbossilasica, sotto forma di biocitina. Il fegato è l'organo più ricco di biotina; le quattro carbossilasi, infatti, sono molto attive in questo organo.
Carenza e tossicità
Nell'adulto è assai rara l'insorgenza di una carenza primaria di biotina, che si manifesta principalmente con alterazioni a carico della cute (desquamazioni). Sono state descritte carenze primarie di biotina soltanto in pazienti nutriti esclusivamente per via parenterale.
Carenze secondarie di biotina sono invece da imputarsi a difetti funzionali o ad alterazioni del suo assorbimento, oppure all’ingestione di quantità elevate di uova crude o alla coque, in quanto l’albume contiene una proteina che possiede un'affinità molto elevata per questa vitamina e la rende quindi indisponibile (Gravel et al., 1980).
Non sono stati osservati effetti tossici legati ad assunzione di quantità elevate di biotina, fino a 10 mg/giorno (LSRO, 1978).
Fonti alimentari
La biotina è molto diffusa nel regno animale (carne di bue, vitello, maiale, agnello e pollo) e vegetale (cavolfiore, funghi, carote, pomodori, spinaci, fagioli e piselli secchi, frutta, quali la mela). Inoltre è contenuta sia nel latte umano che in quello di mucca, nei formaggi, nelle uova intere e nei pesci di mare. Non completamente biodisponibile è però la biotina presente negli alimenti di origine vegetale, a causa dei legami molto forti che essa contrae con altri componenti. I valori medi di ingestione in Europa sono intorno a 30-50 µ g/die, anche se sono possibili ampie variazioni (da 15 a 100 µ g/die).
Livelli di assunzione raccomandati
Non esistono informazioni sufficienti per stabilire un livello di assunzione raccomandato nè un livello al di sotto del quale aumenti il rischio di carenza. Poiché gli attuali livelli di assunzione di biotina con la dieta sono compatibili con la mancata comparsa di segni di carenza, si suppone che questi apporti siano adeguati. Il National Research Council (1989) suggerisce per gli adulti un intervallo adeguato di sicurezza compreso tra 30 e 100 µg/die, mentre, secondo la Commission of the European Communities (1993), l’apporto può essere compreso tra 15 e 100 µg/die. Poichè non esistono dati italiani di assunzione nè studi specifici al riguardo, si ritiene valido l’intervallo compreso fra 15 e 100 µg/die suggerito dal Comitato Scientifico Europeo.
ACIDO PANTOTENICO
L'acido pantotenico è una vitamina idrosolubile del gruppo B largamente distribuita negli alimenti. Poiché alcuni microrganismi sono in grado di sintetizzarlo, è possibile che la sintesi intestinale possa contribuire all’apporto.
L'acido pantotenico è il precursore del coenzima A, formato da una molecola di acido pantotenico, una di ATP e una di cisteina. Il coenzima A è il punto cardine del metabolismo dei carboidrati, degli aminoacidi, degli acidi grassi e dei composti steroidei: è infatti il trasportatore universale di gruppi acilici. L'acido pantotenico entra anche nella composizione del gruppo prostetico dell’Acyl-Carrier-Protein (ACP), una proteina di trasporto importante nella sintesi degli acidi grassi.
La più alta percentuale di acido pantotenico si trova nei tessuti sotto forma di coenzima A, seguita dall’ACP e dell’acido pantotenico libero in piccole quantità (Foss, 1981). Le riserve di coenzima A e di acido pantotenico variano a seconda del tipo di tessuto e dello stato di nutrizione del soggetto, ma l’entità delle riserve non è stata stabilita.
Attualmente non sono noti prodotti di degradazione dell'acido pantotenico (Sugarman & Munro, 1980). Quantità di 1-7 mg/die di acido pantotenico non metabolizzato vengono eliminati con le urine, a seconda delle dosi ingerite. Poiché l’eliminazione urinaria diminuisce durante il digiuno e nel diabetico insulinoprivo, mentre le concentrazioni plasmatiche della vitamina aumentano in entrambi i casi, si pensa all'esistenza di un controllo ormonale dell'escrezione ed a un aumento del riassorbimento tubulare in assenza di insulina. Alcuni studi hanno messo in relazione l'escrezione di acido pantotenico con l'apporto alimentare: l’escrezione media aumentava da 2,3 a 3,9 mg/die quando l'apporto era portato da 5 a 10 mg/die. Escrezioni medie più alte, 10 e 36 mg/die, furono registrate con 17 e 117 mg/die di apporto (Foss, 1981; Kies et al., 1982).
Carenza e tossicità
Data la sua elevata diffusione in natura, gli stati di carenza sono rari; nell'uomo sono in rapporto con gravi stati di denutrizione, non sono mai puri e non permettono quindi di delineare un profilo clinico netto. Non si conoscono manifestazioni acute o croniche di ipervitaminosi, né sono conosciute malattie metaboliche da carenza.
Fonti alimentari
L'acido pantotenico si trova nei cibi sia in forma libera che legata, ed è largamente distribuito negli alimenti vegetali ed animali. Circa l’85% dell’acido pantotenico della dieta è presente sotto forma di coenzima A e di fosfopanteina.
Livelli di assunzione raccomandati
Non ci sono sufficienti informazioni per stabilire i fabbisogni in acido pantotenico, nè studi specifici sui livelli assunti con la dieta in Italia. Livelli medi per gli adulti di 4-7 mg/die sono consigliati dalla Commission of the European Community (1993), con apporti individuali che variano dai 3 ai 12 mg/die. Questi livelli di apporto sembrano adeguati, in quanto sono in grado di prevenire stati di deficienza. L’intervallo 3-12 mg costituisce quindi l’intervallo di sicurezza ed adeguatezza, come suggerito dal Comitato Scientifico Europeo.
FOLATI (ACIDO FOLICO)
Con il termine folati si designa un gruppo di sostanze chimicamente e nutrizionalmente riferibili all’acido folico (acido pteroil glutannico). Questi composti si distinguono tra loro in tre punti della molecola: stato di riduzione dell’anello pteridinico, tipo di unità monocarboniosa ad esso legato, numero di residui di acido glutamico. In molti alimenti i folati sono presenti in forma coniugata ad uno o più residui di acido glutamico (Bates & Heseker, 1994).
A concentrazioni fisiologiche i folati sono assorbiti tramite un processo attivo mediato da un carrier, mentre ad alte concentrazioni il processo è passivo. L'assorbimento avviene principalmente nel digiuno, ed è influenzato dal pH (Sezlhub et al., 1984). Le forme metabolicamente attive sono quelle con l’anello pteridinico ridotto (acido tetraidrofolico, THF), che rappresentano le forme coenzimatiche di trasporto. Il THF è l'accettore dell'unità monocarboniosa C1 che deriva metabolicamente da vari intermedi e si lega al THF, dando origine a quattro importanti coenzimi: uno a livello osssidativo del metanolo (5 metil THF), uno a livello ossidativo della formaldeide (5,10 metilene THF) e due a livello dell'acido formico ( 5,10 metenil THF e 10 formil THF). Questi composti, la cui funzione è quella di trasportare le unità monocarboniose da un composto all’altro nel metabolismo degli aminoacidi e nella sintesi degli acidi nucleici, svolgono un ruolo essenziale in molte reazioni metaboliche alle quali prende parte anche la vitamina B12. Partecipano infatti alla biosintesi di DNA e RNA, alla metilazione dell’omocisteina a metionina ed al metabolismo di alcuni aminoacidi (interconversione tra glicina e serina e catabolismo dell'istidina).
Fonti alimentari e livelli di assunzione
I folati si trovano nelle carni (soprattutto frattaglie) e nei vegetali (soprattutto fagioli, pomodori, arance), in forma più o meno legata e disponibile. Esistono infatti negli alimenti degli inibitori della folato-idrolasi o altri fattori non noti che ne diminuiscono l’assorbimento (del 20% nei legumi e dell’80% nel succo di arancia). Stati di carenza marginale di acido folico si verificano in Italia così come in altri Paesi. Nell'anziano è stata riscontrata una carenza di folati nel 20% degli uomini e nel 12% delle donne (Maiani et al., 1993).
In uno studio condotto su diete globali consumate in due differenti località italiane (Bagnara Calabra e Trino Vercellese) sono emersi valori medi di assunzione giornaliera pari a rispettivamente 161 µ g (da 89 a 259) e 84 µ g (da 44 a 104), al di sotto quindi dei valori raccomandati (Adorisio et al., 1992).
Carenza e tossicità
L’insufficiente apporto di acido folico porta nell’uomo ad una riduzione della sintesi di DNA e RNA, con la conseguente insorgenza di manifestazioni assai gravi a carico di cellule a rapido turn-over come quelle del midollo osseo, causando così l’anemia megaloblastica. La carenza di folati nelle donne in stato di gravidanza è frequente, e costituisce un fattore di rischio della comparsa della spina bifida nel nascituro, una gravissima turba a carico del midollo spinale.
Apporti di folati fino a 5 mg/die sembrano tollerati senza effetti collaterali. Apporti elevati di folati hanno però l’effetto di mascherare un’eventuale carenza in vitamina B12. Poichè tale carenza può avere effetti neurologici irreversibili, si consiglia di evitare eccessive supplementazioni di folati, in particolare nei vegetariani e negli anziani che sono particolarmente a rischio di carenza in B12.
Livelli di assunzione raccomandati
Per quanto concerne i livelli raccomandati, la situazione nutrizionale Italiana non si discosta da quella europea; quindi ci si adegua ai livelli raccomandati dagli esperti CEE (Commission of the European Communities, 1993) pari a 200 µ g/die. Va sottolineata l’importanza della supplementazione di folati in gravidanza per la prevenzione della spina bifida e dell’anencefalia nel neonato, in quanto la raccomandazione viene raddoppiata (400 µ g /die).
VITAMINA B6
Con il termine di vitamina B6 vengono compresi tre composti metabolicamente convertibili tra loro - la piridossina, il piridossale e la piridossamina - ed i rispettivi esteri fosforici (Bender, 1989). Questi ultimi composti sono metabolicamente attivi, in quanto si trovano legati a numerosi enzimi che intervengono in massima parte nel metabolismo degli aminoacidi e di altre sostanze azotate (reazioni di transaminazione, decarbossilazione e racemizzazione). Questo spiega come dall'apporto di questa vitamina con la dieta dipenda la buona utilizzazione delle proteine alimentari. La vitamina B6 è anche implicata in alcune reazioni del metabolismo glucidico (glicogenolisi) e lipidico (sintesi degli acidi grassi insaturi).
Gli esteri 5-fosfati della vitamina B6 presenti negli alimenti vengono defosforilati prima di essere assorbiti come piridossina, piridossale e piridossamina a livello dell’intestino tenue, mediante un processo che richiede energia. La vitamina B6 sintetizzata dalla flora intestinale è in parte disponibile all’assorbimento. La vitamina B6 viene escreta nelle urine principalmente sotto forma di acido 4-piridossico e altri prodotti di ossidazione.
Carenza e tossicità
I casi di carenza in vitamina B6 sono rari. Sintomi di carenza sono stati osservati in neonati, per un errore nel processo produttivo di un latte per l’infanzia che, essendo stato sottoposto ad un trattamento termico eccessivo, portò alla formazione di un complesso tra il piridossale (e piridossal-fosfato) e la lisina delle proteine del latte. I neonati furono affetti da disturbi nel metabolismo del triptofano e della metionina, con sintomi neurologici e convulsioni. Tali sintomi regredirono dopo supplementazione con vitamina B6 (Coursin, 1954).
Livelli di assunzione superiori a 50 mg/die sono stati associati con una neuropatia sensoriale periferica, e vanno dunque considerati potenzialmente dannosi (Schaumberg et al., 1983).
Fonti alimentari
La vitamina B6 è largamente diffusa negli alimenti di origine sia animale che vegetale. Parte della vitamina B6 presente negli alimenti vegetali è sotto forma di glicosidi di piridossamina, non idrolizzabili dagli enzimi intestinali e quindi non biologicamente disponibili. Non si dispone di dati specifici relativi al contenuto di vitamina B6 nella dieta italiana nè allo stato nutrizionale in vitamina B6 della popolazione italiana.
Livelli di assunzione raccomandati
Per la stretta dipendenza con il metabolismo aminoacidico, il fabbisogno di questa vitamina viene calcolato in funzione del contenuto proteico della dieta. Sulla base di studi di deplezione e replezione proteica, con misure dello stato di nutrizione per la vitamina B6, si è visto che un livello di 13 m g/g di proteine alimentari era in grado di mantenere un buono stato di nutrizione vitaminica. Pertanto il Comitato Scientifico Europeo ha fissato una raccomandazione per l’adulto pari a 1,5 mg per 100 g di proteine alimentari (Commission of the European Communities, 1993), considerando un apporto proteico pari a circa il 15% dell’energia della dieta, nell’adulto e nel bambino. Tale raccomandazione viene pertanto adottata anche dalla presente edizione dei LARN. Durante la gravidanza e l’allattamento viene raccomandato un incremento del 20% e del 30% rispettivamente.
VITAMINA B12
Con questo termine si comprende un gruppo di sostanze caratterizzate da un anello corrinoide contenente un atomo di cobalto: le cobalamine. Le forme più note sono l'idrossicobalamina (naturale) e la cianocobalamina. Quest’ultima si forma durante i processi di estrazione, e rappresenta la forma commercialmente disponibile che, una volta introdotta, viene convertita nell’organismo in due forme metabolicamente attive: l'adenosilcobalamina e la metilcobalamina. La prima partecipa a reazioni quali la conversione del metilmalonil-CoA a succinil-CoA nel metabolismo dell’acido propionico che deriva dal catabolismo degli acidi grassi a numero dispari di atomi di carbonio o di certi amino acidi. La metilcobalamina è invece impegnata nel metabolismo del metile, e quindi nella sintesi della metionina dall’omocisteina e di altri composti metilati (Chanarin, 1979).
Per essere assorbita a livello dell’ileo la vitamina B12 deve prima legarsi al fattore intrinseco, una glicoproteina secreta dalle cellule parietali dello stomaco. La percentuale di assorbimento varia con la dose ingerita, essendo di circa il 75% con una dose di 0,5 µ g e di circa il 40% con una dose di 1 µ g.
Circa 0,5 µ g di vitamina B12 vengono secreti ogni giorno con la bile, e di questi l’80% viene riassorbito.
La vitamina B12 viene molto ben immagazzinata nell’organismo; la sua emivita è stata calcolata in 1-4 anni (Commission of the European Communities, 1993).
Fonti alimentari
La vitamina B12 può essere sintetizzata in natura solo da batteri, funghi e alghe. È presente, seppure in piccolissime quantità, in tutti gli alimenti di origine animale, per l’accumulo delle quantità sintetizzate dai batteri. Il fegato ne è particolarmente ricco. Gli alimenti vegetali non contengono vitamina B12, salvo nel caso in cui siano stati contaminati da microrganismi. Non si dispone di dati specifici relativi al contenuto di vitamina B12 nella dieta italiana, nè relativi allo stato di nutrizione per la vitamina B12 della popolazione italiana.
Carenza e tossicità
La carenza di vitamina B12 provoca disturbi a carico del sistema nervoso e della crasi ematica. La causa principale della deficienza di vitamina B12 è certamente la riduzione dell’assorbimento, dovuta spesso alla distruzione delle cellule delle pareti dello stomaco da parte di autoanticorpi con conseguente diminuzione o mancanza di secrezione del fattore intrinseco. L’arresto della divisione cellulare osservato nella carenza di vitamina B12 è dovuto alla impossibilità di utilizzare i cofattori del folato coinvolti nella sintesi di DNA ed RNA. L’anemia macrocitica megaloblastica, identica a quella da carenza in folati, è il segno clinico più visibile della deficienza. Tuttavia, i soggetti estremamente carenti hanno normali concentrazioni di emoglobina, con nessun aumento del volume globulare medio (Lindenbaum et al., 1988).
Le diete strettamente vegetariane sono ad alto rischio di deficienza in vitamina B12. Stati di carenza possono essere osservati in persone anziane con dieta povera di alimenti di origine animale. Una dieta strettamente vegetariana della madre in gravidanza è pericolosa per il nascituro, specie se sarà in seguito allattato dalla madre e poi alimentato anch’esso con dieta vegetariana: i danni neurologici possono essere irreversibili (Kuhne et al., 1991).
Livelli di ingestione doppi o tripli di quelli normali non causano effetti dannosi, mentre quantità maggiori di 200 µ g possono presentare rischi di tossicità.
Livelli di assunzione raccomandati
Sulla base di studi per la valutazione dello stato di nutrizione per la vitamina B12 (livelli plasmatici di vitamina, concentrazioni plasmatiche ed urinarie di acido metilmalonico, presenza di anemia macrocitica, tests psichiatrici) si è potuto stabilire un valore di 1 m g/die come valore medio di fabbisogno per l’adulto normale. Tale fabbisogno aumenta del 20% circa durante la gravidanza e del 50% durante l’allattamento. Considerando la variazione biologica individuale e il margine di sicurezza rappresentato dalla costituzione di una buona riserva corporea, si raccomanda, in accordo con le RDA americane e con i precedenti LARN, una quantità di 2 µ g/die per l’adulto.
Nelle donne vegetariane strette in stato di gravidanza e nei neonati carenti si consiglia un supplemento di vitamina B12. In assenza di studi specifici, i valori raccomandati per i bambini sono basati su quelli degli adulti e proporzionati al dispendio energetico.
VITAMINA PP
Con il termine vitamina PP (o niacina) vengono indicati sia l'acido nicotinico che la sua amide, la nicotinamide. Sotto forma di coenzimi (il nicotin adenin dinucleotide o NAD e il nicotin adenin dinucleotide fosfato o NADP) partecipano a numerose reazioni di ossidoriduzione, sia a livello dei processi catabolici sia di quelli anabolici, quali sintesi di acidi grassi e aminoacidi. La niacina può essere sintetizzata a partire dal triptofano, un aminoacido essenziale. Il fabbisogno di triptofano e di niacina viene quindi espresso globalmente come "Niacina Equivalenti" (Bender & Bender, 1986). Il rapporto di equivalenza è variabile in quanto è soggetto a molti fattori; si considera per convenzione che 60 mg di triptofano alimentare corrispondano ad 1 mg di niacina preformata (Horwitt et al., 1956; Kelsay, 1969).
La niacina, introdotta nella dieta sotto forma dei coenzimi NAD e NADP, viene assorbita dopo idrolisi da parte degli enzimi intestinali, e in parte dopo deamidazione.
Fonti alimentari
La vitamina PP è presente, oltre che nel lievito, negli alimenti di origine animale (carni), ed è sufficientemente stabile ai processi ai quali essi vengono sottoposti. Nei cereali la niacina è presente in gran parte sotto forma di un glicoside dell’acido nicotinico: la niacitina, che non è biologicamente disponibile. Non si dispone di dati specifici relativi al contenuto di vitamina PP nella dieta italiana o allo stato nutrizionale per la vitamina PP della popolazione. Considerando la quantità di proteine assunte con la dieta in Italia come negli altri Paesi Europei, si può prevedere, sulla base del contenuto medio di triptofano nelle proteine (circa 14 mg/g), che i Niacina Equivalenti apportati attraverso il triptofano siano più che sufficienti per coprire i bisogni.
Carenza e tossicità
Una insufficiente assunzione di niacina e triptofano porta nel tempo all'insorgenza di una malattia indicata con il termine di "pellagra", caratterizzata da lesioni a carico della cute (dermatite), dell'apparato digerente (diarree) e del sistema nervoso centrale (demenza). Tale malattia, un tempo molto diffusa anche in Italia, è ora limitata solo in quei Paesi dove anche l'apporto proteico è qualitativamente e quantitativamente insufficiente. Questo perchè il fabbisogno di niacina può essere almeno in parte coperto dal triptofano.
Dosi elevate di acido nicotinico dell’ordine di 500 mg/die provocano danni al fegato, e dosi ancora più elevate (3-6 g/die) provocano vasodilatazione con conseguente ipotensione (Winter & Boyer, 1973).
Livelli di assunzione raccomandati
È probabile che non vi sia un fabbisogno assoluto di niacina preformata nella dieta, poichè la sintesi endogena a partire dalla normale assunzione di triptofano è più che sufficiente per soddisfare le necessità. In tale senso l’acido nicotinico e la nicotinamide non sarebbero da considerare una vera vitamina.
Sulla base di studi di deplezione-replezione e misurando l’escrezione urinaria di N-metilnicotinamide, si è visto che 1,3 mg di Niacina Equivalenti per MJ di energia spesa sono sufficienti per raggiungere livelli adeguati di escrezione. Per tener conto della variabilità individuale, la Commissione Europea raccomanda l’assunzione di 1,6 mg/MJ che corrispondono a valori di circa 13 mg di Niacina Equivalenti nell’adulto medio che spende 2000 kcal e di circa 20 mg per 3000 kcal (Commission of the European Communities, 1993). Si adottano i valori raccomandati europei che non si discostano essenzialmente da quelli indicati dalla precedente edizione dei LARN.