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giovedì 3 marzo 2016

Carni rosse

Ha destato un certo clamore e, inevitabilmente, molte discussioni, anche a livello scientifico, il recente studio dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro sul rapporto tra consumo di carne rossa e tumori. È noto da tempo che la carne rossa e, soprattutto, gli insaccati possono essere potenzialmente cancerogeni. Che cosa è cambiato, allora? La certezza della classificazione di un autorevole organismo internazionale, la IARC (International Agency for Research on Cancer, organismo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) che, dopo aver passato in rassegna 800 studi epidemiologici eseguiti in tutti i paesi del mondo e incentrati sulla relazione tra carni rosse e insorgenza di cancro, ha inserito le carni lavorate tra i cancerogeni certi (il cosiddetto gruppo 1, che comprende anche l’amianto, l’alcol etilico e il fumo, le radiazioni ultraviolette e il Papilloma virus), e le carni rosse tra le sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo (gruppo 2A).
Il lavoro (Bouvard et al., 2015), pubblicato su una delle più autorevoli riviste della letteratura scientifica, Lancet Oncology, è stato condotto da un gruppo di ricerca internazionale in seguito alle numerose evidenze scientifiche, di tipo epidemiologico, che mettono in relazione, a livello di popolazione, l’elevato consumo di carni rosse e lavorate con una maggiore probabilità di insorgenza di alcuni tipi di tumore, in particolare quelli dell’apparato gastrointestinale.
Ma andiamo con ordine, cercando di spiegare quali siano i reali termini della questione e, quindi, come vada recepita correttamente la notizia.

Quali sono le carni rosse

Con questo termine si intendono tutti quelle carni derivanti dal muscolo di un mammifero, quindi carne di manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra.

Che cosa si intende per carni lavorate

Sono le carni che sono state lavorate (processate) in modo da prolungarne la conservazione e/o migliorarne il gusto; i procedimenti più utilizzati sono l’affumicatura, la salatura, la fermentazione, la stagionatura e l’aggiunta di conservanti. La maggior parte dei prodotti alimentari lavorati contiene carni di manzo e maiale, anche se è possibile trovare, come ingredienti, altri tipi di carne rossa ma anche pollame, interiora (frattaglie) o sottoprodotti come il sangue dell’animale. In questa categoria, quindi, rientrano wurstel, prosciutti, salsicce e insaccati in genere.

Carne rossa probabilmente cancerogena

La IARC ha classificato la carne rossa, secondo una scala di maggiore o minore pericolosità delle sostanze con cui veniamo in con tatto, nel gruppo 2A, vale a dire “probabilmente cancerogena per l’uomo”: in base a quale tipo di studi si è arrivati a questa conclusione? Fondamentalmente, l’evidenza scientifica è basata, in
parte, su studi di tipo epidemiologico la cui “forza” scientifica però è limitata (limited evidence), che mettono in relazione il consumo di carne rossa di molte popolazioni con il rischio di tumore del colon-retto, e su studi di tipo meccanicistico, con un’evidenza scientifica, in questo caso, più forte. Il fatto che gli studi epidemiologici diano un’evidenza limitata è dovuta al fatto che in questo tipo di studi non è possibile escludere che, alla base dell’associazione, ci siano altri fattori (stile di vita, fumo di sigaretta, altre sostanze cancerogene presenti nell’ambiente ecc.) che potrebbero contribuire a questo aumento del rischio.

Carne lavorata cancerogena

La carne lavorata è stata inserita nel gruppo 1 cioè “cancerogena per l’uomo”: questo tipo di definizione viene utilizzata quando l’evidenza scientifica è sufficiente (sufficient evidence); in altre parole, c’è un’evidenza convincente che la sostanza/agente in questione possa causare il cancro. Come prima, l’evidenza scientifica deriva sempre da studi epidemiologici che, però, in questo caso, sono più “robusti”.

A quali tumori è collegato il suo consumo?

In generale a quelli dell’apparato gastrointestinale; per la carne rossa c’è un’evidenza, seppur limitata, a livello del colon-retto, ma anche del pancreas e della prostata. Per quanto riguarda la carne processata, invece, l’evidenza è più forte per il tumore del colon-retto, anche se qualche indizio (non tale però per poter trarre conclusioni definitive) c’è pure per quello allo stomaco.

Il metodo di cottura

Il metodo di cottura sicuramente modifica la composizione delle carni e, soprattutto, può aumentarne il contenuto di sostanze cancerogene: tuttavia, è difficile al momento quantificare esattamente l’aumento potenziale del rischio in seguito alle diverse modalità di cottura, ed è per questo motivo che il gruppo di studio IARC, su questo punto, non si è espresso. In linea generale, comunque, la cottura direttamente sulla fiamma (barbecue) o con l’alimento a contatto con una superficie calda (saltata in padella) produce un maggior quantitativo di composti potenzialmente cancerogeni (idrocarburi policiclici aromatici, amine eterocicliche aromatiche) rispetto ad altre modalità di cottura (bollitura ecc.).

La carne cruda potrebbe essere più sicura?

Non ci sono studi per poter rispondere a questa domanda, anche se è bene sottolineare che il rischio, anche grave, di potenziali contaminazioni batteriche è tale da far sconsigliare un consumo regolare di carne cruda ed è del tutto da evitare in persone debilitate, nei bambini e nelle donne in gravidanza, soggetti per i quali non si possono correre i rischi igienico-sanitari collegati all’ingestione di carne cruda o poco cotta.

Casi di tumore all’anno

Secondo le stime del Global Burden of Disease Project, un’organizzazione accademica di ricerca indipendente, è possibile calcolare che circa 34.000 morti per tumore all’anno in tutto il mondo siano attribuibili a un elevato consumo di carni lavorate. Per fare un confronto con altri fattori di rischio, la stima dei morti per tumore da tabacco sono circa un milione, per il consumo di alcool 600.000 mentre per l’inquinamento atmosferico circa 200.000.

Qual è il rischio reale?

La carne processata è stata inserita, come causa di cancro, nello stesso gruppo del fumo di sigaretta e dell’amianto: questo, tuttavia, non significa che questi fattori di rischio siano ugualmente pericolosi. La classificazione della IARC, infatti, descrive il grado di evidenza scientifica che un determinato fattore possa essere causa di insorgenza di tumori, ma non valuta il reale livello di rischio: è una differenza “sottile” ma sostanziale. Premesso che per tutta una serie di problemi di tipo metodologico e applicativo è sempre difficile, a partire dagli studi epidemiologici, arrivare a stabilire una precisa relazione causa-effetto su basi quantitative, lo studio IARC ha stimato che il consumo di 50 grammi di carni lavorate al giorno aumenti il rischio di sviluppare un tumore del colon-retto del 18%.

C’è un livello di consumo sicuro?

È difficile poter fornire delle indicazioni così precise: lo studio ha stabilito che il rischio aumenta parallelamente alla quantità di carne consumata, ma i dati disponibili non sono sufficienti per poter definire, eventualmente, una soglia di sicurezza. In linea generale, tenendo anche in considerazione dell’apporto positivo di particolari nutrienti (ferro, vitamina B12, zinco ecc.) che la carne fornisce, le raccomandazioni dei diversi organismi nazionali e internazionali che si occupano di salute suggeriscono di limitare molto (ma non eliminare) i consumi di carne rossa: tutto ciò soprattutto nei paesi occidentali dove, negli ultimi 30-40 anni, i consumi di alimenti di origine animale sono sicuramente aumentati in maniera eccessiva.

Persone a rischio

È possibile che particolari categorie di persone (bambini, anziani ecc.) possano essere più a rischio di altre? Non era questo lo scopo che si prefiggeva lo studio e, comunque sia, al momento non ci sono studi sufficienti (che peraltro sarebbero estremamente complessi da effettuare date le molte variabili in gioco) per rispondere. Allo stesso modo, è impossibile dire se una persona che abbia già avuto un tumore al colon-retto debba eliminare completamente il consumo di carne.

Meglio diventare vegetariani?

Visto il clamore che ha suscitato lo studio, qualcuno potrebbe essere “invogliato” a fare una scelta di questo tipo. Lo scopo dello studio IARC non era quello di valutare se una dieta vegetariana possa essere più vantaggiosa, per la salute, rispetto a una dieta che preveda un consumo corretto (quindi, molto limitato) di alimenti carnei nelle quantità consigliate.

I possibili meccanismi

Sui meccanismi che potrebbero essere responsabili dell’effetto cancerogeno esistono diverse ipotesi, tutte ancora non definitive:

• la carne rossa contiene un’elevata quantità di ferro in forma eme con una forte attività pro-ossidativa, in grado di causare forte perossidazione lipidica e di provocare danni a livello del DNA in diversi tessuti;

• la degradazione di composti azotati da parte di specifici ceppi batterici nel colon può determinare la formazione di composti contenenti azoto, forti promotori della carcinogenesi. L’aggiunta di nitriti, comune nella preparazione di carni conservate, può favorirne la formazione;

• la cottura a elevate temperature della carne, alla brace o sulla griglia, porta alla formazione di ammine eterocicliche che possono avere una rilevante attività di carcinogenesi a livello dell’intestino e in misura minore della prostata e del seno;

• la cottura a temperature elevate, specie quando aree estese risultino bruciate o carbonizzate, può portare anche alla formazione di idrocarburi aromatici policiclici che, legandosi al DNA all’interno della cellula possono favorire la carcinogenesi;

• un altro possibile meccanismo potrebbe essere legato all’aumento di IGF-1, ormone legato all’insulina, determinato dal consumo di diete ricche in proteine animali e forte promotore dei processi di divisione cellulare.

Conclusioni e raccomandazioni

Alla base di ogni stile di vita sano c’è la moderazione, insieme alla combinazione di abitudini positive: mantenere il peso nella norma, fare attività fisica, seguire una dieta bilanciata e il più possibile aderente al modello della dieta mediterranea ricca di alimenti vegetali (frutta, verdura, legumi ecc.) con il consumo di olio extravergine di oliva come grasso prevalente, poco alcol, niente fumo. Lo studio IARC ha avuto una notevole importanza per la salute pubblica e supporta le raccomandazioni delle principali Società scientifiche e soprattutto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che invita a ridurre il consumo di carne a non oltre i 400 g a settimana nell’ambito di una dieta che preveda altre fonti proteiche come pesce, uova e legumi, e a limitare il più possibile le carni lavorate.


Bibliografia essenziale
- Aykan NF. Red Meat and Colorectal Cancer. Oncol Rev. 2015 Dec 28;9(1):288.
- Bertini I, Giampietro M. (2006). Diete vegetariane, esercizio fisico e salute.
Il Pensiero Scientifico editore.
- Bouvard V et al. Carcinogenicity of consumption of red and processed meat.
Lancet Oncol. 2015 Dec;16(16):1599-600.
- Joshi AD et al. Meat intake, cooking methods, dietary carcinogens, and colorectal cancer risk: findings from the Colorectal Cancer Family Registry.
Cancer Med. 2015 Jun;4(6):936-52.
- Norat T et al. European Code against Cancer 4th Edition: Diet and cancer.
Cancer Epidemiol. 2015 Dec;39 Suppl 1:S56-66.
- Rohrmann S et al. Meat consumption and mortality - results from the European
Prospective Investigation into Cancer and Nutrition. BMC Med. 2013
Mar 7;11:63.
* Iacopo Bertini: Biologo Nutrizionista, PhD, Erborista
** Maria Rosaria D’Isanto: Biologa Nutrizionista,

Specialista in Scienza dell’Alimentazione Membri del Comitato Scientifico A.I.Nut.

Fonte: http://www.natural1.it/alimentazione-ragionata/item/1797-consumo-di-carne-rossa-e-cancro-del-colon-retto