Il termine infezioni delle vie urinarie (UTI) indica la presenza di un agente infettante, generalmente di tipo batterico, nel tratto urinario che normalmente è sterile. L’infezione può coinvolgere siti specifici quali il rene, la vescica, la prostata, l’uretra, o limitarsi alle urine.
La diagnosi delle IVU si basa sulla sintomatologia, sui segni clinici, e sui risultati di semplici analisi di laboratorio. Fondamentali sono l’esame delle urine e l’urinocoltura con antibiogramma.
In caso di sospetta infezione delle alte vie, occorre effettuare anche un esame del sangue per valutare la funzionalità renale, l'eventuale aumento dei globuli bianchi, la velocità di sedimentazione e la PCR. In presenza di uretrite può anche essere necessario un tampone uretrale.
La batteriuria o conta batterica dai campioni di urina è considerata positiva per un valore superiore a 105 per mL, comunque interpretato in relazione al quadro clinico. Al di sotto di questo valore si parla di colonizzazione. L'UTI può essere sintomatica o non sintomatica. La forma sintomatica presenta segni clinici all'apparato urogenitale in associazione con una significante batteriuria. È stato dimostrato che anche in tutti i casi di UTI asintomatiche vi è evidenza di una risposta locale di batteriuria quindi utilizzare il termine colonizzazione per descrivere le UTI asintomatiche è inappropriato.
Epidemiologia
Le infezioni del tratto urinario (UTI) sono comuni con una stima di incidenza annuale globale di almeno 250 milioni e rappresentano un importante capitolo nella medicina, collocandosi tra le più frequenti cause di morbilità, di visita ambulatoriale e di costi sanitari (al 3° posto dopo infezioni delle vie respiratorie).
L’impatto finanziario, dovuto all’elevata incidenza delle IVU in Italia, risulta essere importante: da uno studio effettuato con 120 urologi risulta che il 40% del loro tempo di lavoro in un anno è dedicato esclusivamente a visite per infezioni urinarie. Vanno inoltre considerati tutti i costi dovuti alle prescrizioni, si stima che in Italia le infezioni urinarie trattate con terapia antibiotica siano circa 6,5 milioni all'anno, alle spese per visite domiciliari, alle ospedalizzazioni per comparsa di complicazioni e cronicizzazione e tutti quei costi non strettamente legati al sistema sanitario, ad esempio i giorni di malattia. Le infezioni urinarie rientrano tra le più comuni forme infettive di origine batterica che interessano l’uomo. Da ciò si deduce l’elevata frequenza con cui viene richiesta consulenza specialistica, nefrologica o urologica, o addirittura il ricovero ospedaliero. Esse interessano entrambi i sessi e tutte le fasce di età, sebbene con diversa incidenza.
Le infezioni delle basse vie urinarie non complicate, prevalentemente cistiti, rappresentano l’80% di tutte le IVU, il 40 - 50% delle donne ne subiscono un episodio durante la loro vita e il 20% dopo un primo episodio acuto presenterà infezioni ricorrenti caratterizzate da tre o più episodi ogni anno. Tra i 20 e i 50 anni, le IVU sono circa 50 volte più frequenti nelle donne in relazione all’attività sessuale, che facilita l’ingresso di germi attraverso il breve tragitto dell’uretra femminile . L'incidenza aumenta negli uomini e nelle donne >50 anni: il rapporto uomo-donna diminuisce come risultato dell'aumentata frequenza dei problemi ostruttivi dovuti a patologie prostatiche che interferiscono con lo svuotamento vescicale determinando stasi.
Ma anche nei bambini di entrambi i sessi le infezioni delle vie urinarie (IVU) sono frequenti, a causa delle difese immunitarie ancora incomplete. Nei primi tre mesi di vita il rapporto maschio-femmina è di 3:1, ancora superiore nei nati pre-termine mentre la circoncisione riduce la frequenza. Nel bambino le infezioni sintomatiche si manifestano frequentemente con un quadro clinico aspecifico (ritardo di crescita, febbre).
Circa il 40% di tutte le infezioni nosocomiali riguarda le vie urinarie e di queste l’ 80% si verifica nei portatori di catetere vescicale. I pazienti con catetere vescicale sviluppano batteriuria con incidenza che va dal 3% al 10% per ogni giorno di permanenza in situ del catetere; pertanto dopo un mese di cateterizzazione la quasi totalità dei pazienti presenta batteriuria.
Eziologia e patogenesi
I batteri aerobi gram negativi provocano la maggior parte delle IVU. Sono poche le IVU contratte per via ematica, ma circa il 95% si verifica quando i batteri risalgono dall'orifizio vaginale, già colonizzato, dall'uretra alla vescica e nel caso di pielonefrite, fino all'uretere e poi fino al rene.
L'Escherichia coli è il batterio più frequentemente isolato nelle donne delle infezioni acquisite in comunità, con incidenze che oscillano dal 75% al 90%. In ambiente ospedaliero nei pazienti ricoverati, l'E. coli è responsabile di circa il 50% dei casi.
Negli uomini il più frequente risulta essere Proteus Mirabilis e nei bambini Enterobacter.
Altri organismi isolati sono Klebsiella pneumoniae, Citrobacter, Serratia, Providencia stuartii, Morganella morganii e Pseudomonas aeruginosa.
Tra i batteri Gram-positivi si riscontrano con una certa frequenza anche l’Enterococcus e lo Staphylococcus (saprophyticus, aureus).
Le infezioni polimicrobiche rappresentano il 10-25% di tutti i casi sia negli uomini che nelle donne.
La batteriuria è più frequente nei pazienti anziani di sesso maschile per la presenza di patologie minzionali e di un significativo residuo vescicale di urina; nella donna, per uno scarso riempimento vescicale dovuto a prolasso uterino, per la formazione di cistocele e per la contaminazione del perineo a causa di incontinenza fecale; in entrambi i sessi per patologie neuromuscolari e un aumento di manovre invasive e di cateterizzazione vescicale. I pazienti diabetici e mielolesi, con vescica neurogena, o che hanno subito una cateterizzazione, hanno un aumento dell'incidenza e gravità delle infezioni. Poiché la gravidanza può provocare stasi urinaria da ostruzione funzionale e anatomica degli ureteri e della vescica, l'IVU durante la gravidanza deve essere considerata come complicata.
Nelle infezioni urinarie ricorrenti, che si verificano primariamente in presenza di anomalie morfologico-funzionali del tratto escretore, l’incidenza dei patogeni coinvolti cambia e assumono netta prevalenza il Proteus, la Klebsiella, l’Enterobacter e lo Pseudomonas.
L'incidenza di batteriemie nosocomiali attribuite a IVU è di circa 73/100000.
L’ambiente ospedaliero diviene un fattore dominante nel determinare l’eziologia delle infezioni urinarie nosocomiali. L’incidenza di patogeni come il Proteus, la Klebsiella, l’Enterobacter, la Serratia e lo Pseudomonas, così come gli Staphylococcus aureus e epidermidis, l’Enterococcus faecalis subisce un netto incremento, mentre l’E. coli viene ridimensionato sino a incidere per meno del 50% dei casi studiati.
I patogeni tradizionalmente associate con IVU stanno cambiando molte delle loro caratteristiche, soprattutto a causa della resistenza antimicrobica. L'eziologia delle IVU è influenzata anche da fattori dell'ospite che complicano UVI, come l'età, il diabete, lesioni del midollo spinale, o cateterizzazione. Di conseguenza, le UVI hanno un'eziologia più diversificata rispetto a quelle non complicate, e gli organismi che raramente sono causa di malattia in pazienti sani possono causare malattie importanti negli ospiti con patologie anatomiche, metaboliche o immunologiche.
Cranberry
Normalmente quando si parla di mirtillo si intende il Vaccinium myrtillus, comunemente chiamato mirtillo nero; esistono però altre specie appartenenti allo stesso genere Vaccinium tra cui il frutto che andremo a trattare: il Vaccinium Macrocarpon, in inglese Cranberry, da non confondere con il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea) anch'esso con proprietà terapeutiche.
Il Cranberry è un piccolo arbusto di origine nordamericana con caratteristiche botaniche molto simili al V. myrtillus, cresce bene negli ambienti paludosi e viene coltivato su vaste aree di territorio a scopo alimentare.
Nel 1923, molto prima della scoperta degli antibiotici, alcuni medici americani prescrivevano già il cranberry per diminuire la ricorrenza delle infezioni urinarie, tra cui la cistite. Si pensava allora che gli effetti fossero dovuti ad una acidificazione dell'urina provocata dagli acidi organici contenuti nel succo della pianta, questa ipotesi fu rifiutata alla fine degli anni '50, ma si sarebbe dovuto attendere il 1984 perché gli effetti della pianta trovassero una spiegazione scientifica. Infatti è stato dimostrato e confermato successivamente che le proantocianidine contenute nel succo di cranberry sono un potente inibitore di adesione batterica. Quindi il mirtillo inibisce l'adesione del batterio patogeno E. coli alle cellule epiteliali dell'apparato urinario circa dell'80% riducendo così lo sviluppo di UTI. Il succo di mirtillo è anche in grado di ridurre l'aderenza cellulare da parte di batteri resistenti all'antibiotico trimetoprim-sulfametossazolo.
Una recente revisione della letteratura da parte di Cochrane ha analizzato dieci studi per valutare l'efficacia dei prodotti a base di cranberry nella prevenzione delle infezioni del tratto urinario nelle popolazioni suscettibili. Sono stati inclusi dieci studi (n = 1049, cinque cross-over, cinque gruppi paralleli) nei quali si sono messi a confronto Cranberry e succo di mirtillo, mirtilli freschi rispetto al placebo, compresse di mirtilli rispetto al placebo in quattro studi (uno studio ha valutato due succhi di frutta e compresse mentre il succo e l'acqua sono stati valutati in sette studi). I prodotti a base di Cranberry hanno ridotto significativamente l'incidenza di infezioni del tratto urinario a 12 mesi (RR 0,65, IC 95% 0,46-0,90) rispetto al placebo / controllo.
In uno degli studi presi in considerazione dalla revisione, sono state prese in campione 153 donne anziane per un periodo di 6 mesi, un gruppo ha consumato 300ml al giorno di succo di cranberry, all’altro gruppo è stato consegnato un placebo di uguale aspetto e gusto. I campioni di urina presi periodicamente hanno rilevato la presenza batteriuria positiva nel 4% del gruppo trattato rispetto al 7% del gruppo di controllo. In un altro studio sono stati somministrati 50 ml di succo concentrato di cranberry al giorno per 6 mesi alle donne con UTI recidivante causata da Escherichia coli ed è stato rilevato che si è ridotta la recidiva di UTI sintomatica al 36% nel gruppo con placebo e al 16% nel gruppo trattato con il succo.
In un altro studio sia il succo che le compresse di cranberry hanno mostrato una diminuzione statisticamente significativa del numero di pazienti con almeno un episodio di UTI sintomatica all'anno (al 20% e 18% rispettivamente) rispetto al placebo (al 32%). Inoltre il totale consumo di antibiotici è stato minore nei due gruppi di trattamento rispetto al placebo.
Uno studio clinico controllato ha indagato se il succo di mirtillo fosse efficace nei confronti dei pazienti anziani ospedalizzati. Sono stati arruolati 376 pazienti, che hanno ricevuto 300 mg/die di succo di cranberry o un placebo per 3 mesi. Al termine della sperimentazione 21 pazienti hanno avuto almeno una infezione delle vie urinarie, di cui 14 nel gruppo placebo e 7 del gruppo trattato, con un minor numero in questo gruppo di infezioni causate dal batterio Escherichia coli. Uno studio clinico controllato ha paragonato l’effetto di un estratto di cranberry a quello del trimetoprim a basso dosaggio nella prevenzione delle infezioni vescicali ricorrenti in donne anziane. Sono state reclutate 137 donne che avevano avuto due o più episodi di infezione urinaria negli ultimi dosici mesi, sono stati loro assegnati da assumere 500 mg/die di estratto di cranberry o 100 mg/die di trimetoprim per 6 mesi. Al termine dello studio, per 25 pazienti del gruppo cranberry è stato necessario un trattamento con un antibiotico contro 14 pazienti del gruppo trimetoprim, con una differenza tra i due gruppi statisticamente poco significativa (p<0,084). Lo studio mostra che un estratto di cranberry ottiene un effetto simile a quello del trimetoprim nella prevenzione delle infezioni ricorrenti vescicali.
Vi sono evidenze che prodotti a base di cranberry possono prevenire riducendo l'incidenza delle infezioni del tratto urinario nelle donne con IVU ricorrenti.
Probiotici
I fermenti lattici o probiotici sono microrganismi batterici vivi che hanno mostrato di avere effetti benefici sulla salute. L' integrazione della dieta con i fermenti lattici si è dimostrata in grado di alterare in modo favorevole la flora batterica intestinale. I probiotici più comunemente utilizzati sono i Lattobacilli e i Bifidobatteri.
La composizione dei batteri presenti nell’intestino e quindi riscontrabile nelle feci può essere influenzata dalla dieta alimentare e da eventuali terapie con antibiotici. Poiché le infezioni del tratto urinario sono strettamente correlate alla presenza di germi intestinali patogeni nelle vie urinarie, il rischio di avere infezioni delle vie urinarie potrebbe essere ridimensionata grazie alla somministrazione dei probiotici. II Lactobacillus costituisce parte integrante dell'ecosistema vaginale nella donna sana e rappresenta il principale meccanismo naturale di difesa contro lo sviluppo di microrganismi patogeni. Ciò si realizza principalmente attraverso la trasformazione, operata dai lattobacilli, del glicogeno delle cellule epiteliali in acido lattico, con abbassamento del pH vaginale a valori compresi tra 3,8 e 4,4, creando un ambiente acido che risulta ottimale per la crescita dei lattobacilli, ma sfavorevole per la crescita di microrganismi patogeni. Altri meccanismi di difesa da parte dei probiotici sono la propria capacità di aderire alle superfici delle cellule, impedendo ai patogeni di aderire e la produzione di sostanze che inibiscono la moltiplicazione degli agenti patogeni. Uno studio ha esaminato in vitro 15 specie di Lactobacillus per determinare la capacità di inibire la crescita e bloccare l'aderenza dei batteri uropatogeni. Lactobacillus crispatus è la specie che ha dimostrato un ottima capacità di bloccare l'adesione batterica. Dei batteri patogeni testati, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa ed Enterococcus erano più suscettibili.
Sono stati recentemente pubblicati alcuni studi che hanno dimostrato come i probiotici, somministrati per bocca, dopo aver colonizzato l’intestino sono in grado di raggiungere vivi e vitali le vie urinarie.
I bambini sono particolarmente suscettibili alle infezioni del tratto urinario causato dalla migrazione batterica dal tratto intestinale. In uno studio su bambini e adolescenti (14 maschi, 10 femmine; età 3-16)l' integrazione del probiotico Saccharomyces boulardii ha comportato una riduzione significativa di colonie di E. coli nelle feci. L'assunzione di S. boulardii una volta al giorno per cinque giorni ha comportato una diminuzione da una media di 384.625 colonie (misurate in g / ml di feci) prima del trattamento a una media di 6.283 dopo il trattamento. Uno studio ha valutato in un anno, l’efficacia del trattamento con Lactobacillus acidophilus rispetto all’antibiotico profilassi con cotrimoxazolo (trimetoprim e sulfametossazolo) su una popolazione di 120 bambini con reflusso vescico-ureterale. L’incidenza delle infezioni delle vie urinarie sostanzialmente non differiva tra i trattati con probiotici (18%) rispetto a quelli trattati con antibiotico profilassi (22%). Lo studio ha dimostrato che l’antibiotico era ugualmente efficace del probiotico. Nelle giovani donne la somministrazione intravaginale di Lactobacillus crispatus per 10 settimane si è dimostrata efficace nel ridurre la ricorrenza delle infezioni delle vie urinarie 15% rispetto a quelle trattate con placebo. In particolare, l’incidenza delle infezioni delle vie urinarie è risultata del 15% nel primo gruppo rispetto al 27% nel secondo.
Kontiokari nel suo studio del 2001, ha concluso che l'ingestione orale di Lactobacillus GG (L. rhamnosus) non è efficace nel prevenire UTI, è stato somministrato 100 ml di succo di L. GG una volta al giorno 5 volte alla settimana per 1 anno, gli autori suppongono che l'inefficacia può essere
causata perché non sono stati in grado di indurre la colonizzazione Lactobacillus nella zona periuretrale.
La sostituzione delle Enterobatteriacee intestinali con Lattobacilli ridurrebbe il rischio di sviluppare le infezioni delle vie urinarie. Tale azione si esplicherebbe attraverso una modifica favorevole del pH genito-urinario, una inibizione della crescita dei germi e una attivazione del sistema immunitario del paziente affetto da infezioni urinarie ricorrenti.
Acido ascorbico
La vitamina C viene sintetizzata dalle piante e da molti animali (anfibi, rettili, alcuni uccelli e Mammiferi) a partire dal glucosio. Tra i Mammiferi solo l'uomo, altri primati e la cavia non sono in grado di sintetizzarla per carenza della L-gulono-g-lattone ossidasi.
L'acido ascorbico è ampiamente distribuito in natura e può essere assimilato attraverso l'alimentazione, tuttavia la quantità può variare in funzione del grado di maturazione, delle condizioni di conservazione e trattamento prima del consumo.
Frutta e verdura sono le migliori fonti di vitamina C. Agrumi, pomodori e succo di pomodoro e patate sono tra le principali fonti di vitamina C inserite normalmente nella dieta. Altre fonti includono peperoni rossi e verdi, kiwi, broccoli, fragole, cavoli di Bruxelles e melone, particolarmente concentrata nel frutto di ciliegia amazzonica, l'acerola, dove sono contenuti 1677.6 mg di vitamina C in 100 g di frutto. Anche se la vitamina C non è naturalmente presente nei cereali, viene aggiunta ad alcuni cereali per colazione. La vitamina C è, tra le vitamine, quella che va incontro a maggiore degradazione, può perdersi nel caso in cui questi alimenti vengano tenuti all'aria per molto tempo o dentro contenitori di metallo. La cottura può comportare perdita di vitamina (in taluni casi fino al 75%), perché l'acido ascorbico è solubile in acqua e viene distrutta dal calore. Tale fenomeno può essere ridotto adottando una cottura nell'acqua o al forno microonde. Fortunatamente molte delle maggiori fonti alimentari di vitamina C, come frutta e verdura, di solito sono consumati crudi. Mangiare cinque porzioni varie di frutta e verdura al giorno può fornire più di 200 mg di vitamina C. I livelli di assunzione in Italia sono stati stimati in 120 mg nel Sud contro 103 mg nel Nord; gli alimenti che maggiormente contribuiscono all’assunzione di vitamina C e che sono responsabili di questa differenza sono le verdure a frutto ed in particolare i pomodori. Nell’anziano la fonte principale di vitamina C è rappresentata dalle arance e dai mandarini, seguiti dai pomodori.
L'integrazione di vitamina C sotto forma di acido ascorbico viene spesso raccomandata dai medici, erboristi e farmacisti per prevenire le UTI; l'acido ascorbico rende l'urina acida, creando un ambiente inospitale per i batteri. Inoltre la vitamina C, dalle importanti proprietà antiossidanti, è in grado di proteggere il tratto urinario prevenendo le infezioni.
L'assunzione giornaliera di 100 mg di acido ascorbico per tre mesi ha giocato un ruolo importante nella riduzione delle infezioni delle vie urinarie, migliorando il livello di salute delle donne in gravidanza. Lo studio è stato effettuato su 110 donne alla dodicesima settimana di gravidanza ad alto rischio di infezione urinaria e resistenza antibiotica.
La presenza di infezioni urinarie nel gruppo con acido ascorbico è stata 12,7%, significativamente inferiore a quello del gruppo placebo 29,1%.
In un altro trial clinico, l'urina è stata raccolta da gruppi di volontari a seguito del consumo di acqua, acido ascorbico o integratori di cranberry.
Solo l'assunzione di acido ascorbico ha costantemente prodotto urine acide. Questi campioni di urina sono stati impiegati per studiare in laboratorio l'adesione di vari uropatogeni. Le urine dopo la somministrazione di acido ascorbico hanno ridotto l'aderenza di Escherichia coli e Enterococcus faecalis, ma non Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus epidermidis e Candida albicans.
Il dott. Carlo Genovese dell'università di Catania ha eseguito recentemente uno studio sperimentale crossover doppio cieco su 24 donne; è stata valutata l’attività inibente di un integratore in compresse contenente 120 mg di cranberry e vitamina C (36 mg di proantocianidine e 60 mg di acido ascorbico) sull’adesività di Escherichia coli. Complessivamente, il trattamento con succo di mirtillo ha determinato una riduzione dell’indice di adesività batterica del 50.9%, contro solo lo 0.29% del placebo.
È stato osservato che quando Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa sono esposti alla combinazione di urina acidificata (pH 5-5,5) e nitriti, l'acido ascorbico aumenta l'effetto antibatterico. Questa azione è legata alla produzione di ossido nitrico e di altri derivati tossici prodotti durante la reazione.
Non ci sono ulteriori dati per supportare l’utilizzo di altre vitamine e oligoelementi per prevenire IVU.
Alimento - Vitamina C (mg/100g)
1) Uva, succo, in cartone - 340
2) Guava - 243
3) Peperoncini piccanti - 229
4) Ribes - 200
5) Peperoni, rossi e gialli - 166
6) Prezzemolo - 162
10) Rughetta o rucola - 110
12) Kiwi - 85
13) Cavoli di Bruxelles - 81
17) Cavolfiore crudo - 59
18) Lattuga da taglio - 59
19) Broccolo a testa crudo - 54
20) Spinaci crudi - 54
21) Fragole - 54
22) Clementine - 54
23) Cavoli di Bruxelles, cotti (bolliti in acqua distillata senza aggiunta di sale) - 52
25) Tarassaco o dente di leone - 52
26) Cavolfiore, cotto (in forno a microonde senza aggiunta di acqua e di sale) - 50
27) Arance - 50
28) Limoni - 50
34) Pomodori, conserva - 43
48) Melone - 32
89) Patate crude - 15
91) Mirtilli - 15
INRAN Istituto Nazionale di Ricerca per gli A-limenti e la Nutrizione - Tabelle di composizione degli alimenti
Alimenti acidificanti
Gli alimenti che mangiamo possono dare reazione acida, alcalina o neutra: il valore del pH è compreso tra 0 (molto acido) a 14 (molto alcalino). L'acqua pura è neutra e ha un pH 7,07; la frutta ha, in genere, un pH acido; l'ambiente dello stomaco è acido e varia da 1 a 1,6 molto acido. L'alcalinità favorisce la proliferazione batterica, mentre l'acidità, nella maggior parte dei casi, la contrasta.
Quando ingeriamo un determinato alimento questo può dare una reazione acida e quindi tendere a sottrarre sali minerali all'organismo; oppure una reazione basica con un'azione mineralizzante bilanciando o neutralizzando gli effetti degli acidi.
Non esiste un rapporto diretto tra un alimento dal sapore acido e la sua reazione nell'organismo. Bisogna distinguere tra alimenti acidi e acidificanti: molti cibi e bevande che risultano acidi alla lettura con il pHmetro, nell'organismo portano invece alla formazione di sali alcalini. Questo si verifica quando nei cibi sono presenti degli acidi deboli, come quelli della frutta (acido citrico, malico, tartarico), che nella digestione vengono ossidati formando acido carbonico, un altro acido debole che si dissocia facilmente, formando dei carbonati (per esempio carbonato di sodio, di potassio, di calcio). Per esempio, il succo d'arancia può avere un pH 4,5, mentre una spremuta fresca può arrivare anche a pH 3,57. Nonostante tali valori, sono considerati alcalinizzanti.
Molti processi metabolici che ci mantengono in vita, trasformando gli alimenti e l’ossigeno in energia, producono scorie acide. Queste ultime vengono eliminate tramite sistemi di compenso che sono in grado di rimuovere piccoli carichi acidi attraverso i polmoni, il fegato, i reni e la pelle. Una buona funzionalità dei reni permette di eliminare le sostanze acide attraverso le urine, ma bisogna considerare che quando le quantità di scorie superano quelle che il nostro organismo è in grado di eliminare, spesso a causa di un problema patologico (es: ridotta funzionalità renale e insufficienza respiratoria), insorge l’acidosi metabolica, ovvero un sovraccarico di sostanze acide immagazzinate in alcuni tessuti, in attesa di essere smaltite con un rischio di una successiva sofferenza fisiopatologica.
Così, prendendo in considerazione l'effetto della dieta alimentare sul pH delle urine, può risultare in una interpretazione più ampia di quest'analisi dei dati, che ci sia un collegamento tra nutrizione (ad esempio, alimenti funzionali) e la suscettibilità di UTI.
La letteratura più recente in materia di nutrizione clinica si è soffermata in più occasioni sulla valenza alcalinizzante o acidificante dei cibi.
È possibile calcolare il carico potenziale dell'acido renale, chiamato anche PRAL (Potential Renal Acid Load) che consente una previsione appropriata degli effetti della dieta alimentare sull'acidità delle urine.
Uno studio su larga scala ha infatti evidenziato la correlazione fra il pH urinario ed il PRAL della dieta della settimana precedente, suggerendo l'uso del pH urinario quale metodo di controllo di variazioni nel consumo di frutta e verdura da parte dei pazienti analizzati. Il carico acidificante o alcalinizzante dell'alimentazione agisce tendenzialmente sul lungo periodo.
Il valore del PRAL viene ottenuto con un calcolo sulla composizione chimica di 100g dell'alimento. Il carico potenziale di acido renale assume segno positivo per i cibi acidificanti, negativo per quelli alcalinizzanti. La tabella sul PRAL degli alimenti contiene valori esemplificativi poiché il numero finale è fortemente influenzato dalle proprietà dell'alimento stesso e dai fattori ambientali a cui è stato sottoposto.
Alimento - PRAL
Asparagi -2,7
Broccoli -5,1
Carciofi -7,2
Carote -4,2
Cavolfiore -5,6
Cavolini di Bruxelles -8,3
Finocchi -7,5
Funghi -4,0
Indivia -7,9
Lattuga -4,9
Melanzane -2,9
Patate -10,3
Peperoni -3,8
Pomodori -5,4
Zucca gialla -5,9
Arance -3,6
Mele -1,9
Banane -6,9
Mirtilli -6,5
Succo di limone -2,5
Mandorle 0,8
Noci secche 6,7
Nocciole -4,9
Lenticchie -2,2
Ceci -1,5
Fagioli -12,0
Avena 9,3
Riso brillato 2,7
Riso integrale 4,8
Mais dolce in scatola -1,5
Crusca di frumento 8,2
Pasta 6,5
Tacchino fesa 10,2
Pollo petto 10,5
Merluzzo surgelato 7.8
Maiale 10,2
Vitello filetto 9,5
Latte 0,2
Yogourt 0,1
Mozzarella 16,9
Parmiggiano 23,2
Cioccolato fondente 0,6
Cacao in polvere -32,7
Cioccolato al latte -3,8
I valori definiscono il potenziale di acidosi renale (PRAL) espresso come mEq/100g di alimento. Il carico potenziale di acido renale assume segno positivo per i cibi acidificanti, negativo per quelli alcalinizzanti.
Si è potuto notare che ciò che influenza la non-proliferazione dei batteri urinari è l'impiego di diete ad elevato residuo acido. Infatti queste sostanze acide abbassano il pH urinario e, di conseguenza, non consentono ai batteri di aderire alle cellule epiteliali e di svilupparsi. Il nostro organismo da solo provvede ad attuare tale difesa: il pH delle urine è più basso al mattino rispetto alla sera, perché durante il sonno la riduzione della ventilazione polmonare determina acidosi respiratoria. Si registrano inoltre valori di pH urinario più bassi nel digiuno rispetto ai periodi post-prandiali, ma talvolta può non essere sufficiente.
Quindi, allo scopo di prevenire le UTI, è opportuno aumentare gli alimenti a residuo acido e diminuire quelli a residuo alcalino.
L'acidificazione delle urine con particolari alimenti dietetici è già stata consigliata in passato come terapia per ridurre il rischio di IVU. Gli additivi alimentari, secondo Kalhoff venivano già usati nel periodo precedente agli antibiotici per questo scopo, e in parte utilizzati ancora oggi, specialmente in pazienti con un elevato rischio di recidiva, includono metionina, metenamina (formazione di formaldeide nelle urine acide), vitamina C, e succo di cranberry per l'acidificazione delle urine, ma in particolare per la riduzione dell'aderenza batterica alle cellule uroepiteliali.
Solo recentemente è stata presentata l'acidificazione delle urine come una "nuova strategia terapeutica" per il trattamento delle UTI causate da batteri denitrificatori.
È stato osservato che quando Escherichia coli e Pseudomonas aeruginosa sono esposti alla combinazione di urina acidificata (pH 5-5,5) e nitriti, l'acido ascorbico aumenta l'effetto antibatterico. Questa azione è legata alla produzione di ossido nitrico e di altri derivati tossici prodotti durante la reazione.
Idratazione
La crescita batterica nelle vie urinarie di solito è impedita da fattori dell'ospite tra cui l'eradicazione batterica dal tratto urinario e il flusso di muco.
L'eradicazione batterica dal tratto urinario è in parte dipendente dal flusso di urina e dalla frequenza minzionale.
Solo pochi studi clinici con risultati contraddittori sono disponibili sull'influenza di assunzione di liquidi rispetto al rischio di IVU. Una spiegazione per l'incoerenza tra i dati potrebbe essere l'incertezza sulla quantità esatta di liquidi da assumere, che è stato registrato per lo più in questionari.
L’idratazione riduce l’azione irritativa causata da urine troppo concentrate e assicura una maggiore e continua eliminazione dei batteri presenti nelle vie escretrici. Inoltre, garantisce anche un corretto funzionamento dell'organo imputato al riassorbimento, cioè il colon. Infatti, un intestino regolare difficilmente favorisce la proliferazione dei batteri fecali, spesso responsabili della batteriuria e quindi della cistite. È indicata in questi casi l'introduzione di adeguati apporti di cibi ricchi di fibre. L'incremento della diuresi comporta un miglioramento del flusso ematico a livello della midollare del rene, con diminuzione dell'osmolarità e il potenziamento delle difese contro i batteri. Nell'intervallo fra le minzioni il continuo rifornimento di nuova urina dagli ureteri assicura la progressiva diluizione della carica batterica comunque giunta in vescica.
È essenziale che le minzioni siano complete senza residuo e non eccessivamente diradate nel tempo poiché il ristagno dell'urina all'interno della vescica è un importante fattore predisponente che permette ai batteri di proliferare più facilmente; anche per questo motivo è importante bere molta acqua nell'arco della giornata, a scopo terapeutico complementare.
Una soluzione per prevenire disturbi alle vie urinarie è quella di mantenerle pulite attraverso una corretta e costante idratazione, meglio se con un'acqua altamente diuretica, come quelle "minimamente mineralizzate", con un residuo fisso a 180° inferiore a 50 mg/L. Bailey in un articolo del 1994 afferma che molte donne con IVU ricorrenti vengono aiutate facendo in modo che abbiano un apporto di liquidi di almeno 2 litri al giorno. Questa è una delle poche indicazioni riguardanti la quantità di liquidi da assumere per aumentare la frequenza urinaria.
Uno dei sintomi della cistite è l'aumento delle minzioni: un meccanismo di difesa per ridurre la carica batterica all'interno della vescica. In caso di infezione già in atto quindi è importante assumere liquidi per permettere all'urina di avere un volume sufficiente per creare lo stimolo urinario e lavare meglio le vie urinarie; quando si parla di prevenzione invece occorre semplicemente assumere la giusta quantità di liquidi giornalmente (1000-1500 ml / die), infatti nei numerosi studi si evidenzia che chi è soggetto a infezioni ricorrenti spesso non assume regolarmente liquidi (<500 ml / die) facilitando cosi la proliferazione batterica. Per chi ha difficoltà a bere acqua, si possono aggiungere tisane o camomille leggere.
Alcuni studi effettuati in vitro hanno dimostrato che il tè verde e il tè nero svolgono un azione sinergica con alcuni antibiotici nei confronti di Escherichia coli.
Uva ursina
La pianta di uva ursina è un basso arbusto sempreverde le cui bacche sono molto amate dagli orsi, da cui il nome "Uva ursina". Tuttavia, sono le foglie che vengono usate in medicina.
L'uva ursina ha una lunga storia di utilizzo per le vie urinarie sia in America che in Europa. Fino allo sviluppo di antibiotici sulfamidici, la sua principale componente attiva, l'arbutina, è stata frequentemente prescritta dai medici come trattamento per le infezioni vescicale e renali.
Sembra che l'arbutina contenuta nelle foglie di uva ursina subisca un processo di idrolisi da parte della flora intestinale, tale processo porta alla formazione di un'altra sostanza, l'idrochinone che, dopo il suo assorbimento viene coniugato a livello epatico come glucuronide e solfato per venire poi escreto attraverso i reni. L'idrochinone giunto in vescica agisce poi come antisettico. C'è molta contraddizione nella letteratura sull'idoneità dell'arbutina per la terapia delle infezioni urinarie: questo è causato da una scarsa conoscenza del meccanismo di azione e, di conseguenza, l'uva ursina viene spesso applicata in modo inefficiente dando risultati diversi.
In uno studio non controllato, sono stati raccolti campioni di urine di volontari sani 3 ore dopo la somministrazione di 0.1 o 1.0g di arbutina, e sono stati comparati a 20 composti antibatterici su 74 ceppi batterici, inclusi Escherichia coli, Proteus mirabilis, Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus. Solo l’arbutina di 1g si è mostrata attiva su tutti i ceppi.
Nonostante il decotto di uva ursina mostri una attività battericida relativamente bassa, essa aumenta in maniera significativa la idrofobicità delle specie microbiche testate in vitro, incluso l’E. coli. Potrebbe quindi influenzare le caratteristiche adesive dei batteri. La Cooperativa Europea scientifico Fitoterapia (ESCOP) è un'organizzazione scientifica con il compito di regolamentare l'utilizzo delle erbe tra i paesi europei. L'ESCOP raccomanda l'uva ursina per "le infezioni non complicate delle vie urinarie come cistiti quando il trattamento antibiotico non è considerato essenziale." Raccomandazioni europee indicano che il dosaggio di l'uva ursina deve essere regolato per fornire 400 a 800 mg di arbutina al giorno. Purtroppo, l'idrochinone è anche una tossina del fegato, cancerogeno e irritante. Per questo motivo, l'uva ursina non è raccomandata per un uso a lungo termine: la pianta non deve essere utilizzata per più di 2 settimane consecutive, e non più di 5 volte l'anno. Nonostante questa raccomandazione, è stata prodotta poca ricerca sugli effetti dell'uva ursina.
In caso di assunzione di uva ursina a scopi fitoterapici, viene generalmente raccomandato di non assumere sostanze che svolgano un'azione acidificante delle urine in quanto si potrebbe verificare una diminuzione dell'efficacia antimicrobica.
Alimenti da evitare
Uno studio ha utilizzato vari ioni minerali, già noti per aver la capacità di influenzare l'interazione tra le cellule, per verificare l'influenza di essi sull'aderenza batterica alle cellule uroepiteliali, mentre la maggior parte degli ioni esaminati non ha avuto effetto sull'aderenza, gli ioni di calcio hanno aumentato significativamente l'aderenza batterica. È stato dimostrato in vitro che quando la concentrazione di calcio è superiore ai livelli che si trova normalmente nelle urine, c'è un aumento significativo dell'aderenza batterica. Inoltre si è constatato che se l'alimentazione orale è stata integrata con del calcio in eccesso vi è un aumento della escrezione di calcio nelle urine, un corrispondente aumento dell'aderenza batterica e un potenziale maggiore per le infezioni del tratto urinario, anche se, l'aggiunta di calcio nel latte, non ha evidenziato nessuna associazione tra assunzione di calcio e il rischio di UTI, secondo lo studio Kontiokari.
Favoriscono lo sviluppo di UTI le bevande zuccherate e contenenti saccarosio aggiunto, dati evidenti quando analizzati separatamente, ma che scompaiono nel modello multivariato, può semplicemente riflettere il fatto che questi prodotti sono consumati come alternative ai succhi di frutta freschi.
Nella fase acuta dell'infezione alle basse vie urinarie viene spesso consigliato di evitare i cibi acidificanti, speziati e molto piccanti, alcool e caffè per ridurre i sintomi. Le sostanze tossiche vengono eliminate con l’urina. Sulle pareti già irritate della vescica, un’urina più acida aumenta la sintomatologia provocando bruciore e dolore ancora più intenso.
Conclusioni
Durante questa ricerca sono stati presi in considerazione gli elementi che potrebbero influire positivamente o negativamente al fine di prevenire le infezioni del tratto urinario. Sono stati valutati studi sulla funzione del cranberry, probiotici, acido ascorbico, alimenti acidificanti, uva ursina e l'idratazione, ognuno di questi elementi ha mostrato di possedere pro e contro nella prevenzione delle infezioni del tratto urinario.
Gli studi sul cranberry presi in considerazione, hanno valutato sia succo fresco che capsule, ma la concentrazione e la quantità minima necessaria ancora non sono state stabilite. Quello che però emerge è la tipologia di paziente: le donne con UTI ricorrenti hanno subito un maggior vantaggio dall'assunzione di cranberry come sostengono alcuni autori. Non importa quante persone avranno un'UTI ma il numero effettivo di infezioni nell'arco di un anno, nelle popolazioni con un alta frequenza di UTI (20,21), è dimostrata l'efficacia del cranberry, raggiungendo in alcuni casi la riduzione del 50% delle infezioni in un anno rispetto al placebo.
L'articolo pubblicato da Avorn viene citato da moltissimi produttori di cranberry sostenendo che lo studio dimostra l'efficacia del prodotto riducendo le infezioni del 50%.
Gli studi sui probiotici si sono mostrati efficaci soprattutto a lungo termine, andando a modificare il pH vaginale, spesso terreno di coltura di patogeni rendendolo un ambiente poco adatto alla proliferazione degli altri batteri e andando ad interferire sul passaggio dal retto all'uretra. I probiotici sono una categoria di batteri benefici sulla salute e quelli analizzati dagli studi sono: Lactobacillus rhamnosus, Saccharomyces boulardii, Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus crispatus. I probiotici sono efficaci soprattutto contro infezioni causate da Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Enterococcus e Escherichia Coli. La maggior parte degli studi sono stati eseguiti in vitro, sono pochi quelli in vivo di buona qualità e sono necessari ulteriori risultati per confermare la sua efficacia contro le infezioni urinarie.
La vitamina C riduce il pH delle urine: l'acidificazione delle urine è un ottimo fattore preventivo. Infatti le urine acide non consentono ai batteri di aderire alle cellule epiteliali e, quindi, di proliferare. L'acidificazione avviene già fisiologicamente nel nostro organismo con il digiuno notturno ma talvolta non è sufficiente e necessita di un supporto con un'alimentazione mirata. Il PRAL è un valore che ci permette di calcolare il carico potenziale dell'acido renale, che consente una previsione appropriata degli effetti della dieta alimentare sull'acidità delle urine una volta che l'alimento è stato assimilato dall'organismo. Ciò permette di equilibrare la dieta perché non sempre un alimento con sapore acido è anche acidificante.
Durante un'infiammazione in atto l'utilizzo di alimenti acidificanti è sconsigliato perché il pH delle urine troppo basso andrebbe a irritare il tessuto epiteliale.
L'idratazione riduce l'azione irritativa causata da urine troppo concentrate, assicurando una maggiore e continua eliminazione dei batteri presenti nelle vie escretrici. Tuttavia bere più di due litri al giorno a scopo preventivo potrebbe causare altri problemi nel tempo. Quando si parla di prevenzione occorre semplicemente assumere la giusta quantità di liquidi giornaliera, mentre nel trattamento l'aumento dei liquidi introdotti è una delle prime soluzioni adottate: l'acqua è un ottimo coadiuvante nel depurare le vie urinarie.
L'uva ursina è risultata molto efficace contro numerosi batteri tra cui: Escherichia coli, Proteus mirabilis, Pseudomonas aeruginosa e Staphylococcus aureus. La sua efficacia riguarda la capacità di un suo principio di raggiungere le vie urinarie e di conservare la sua proprietà antisettica.
Ma la sua tossicità ne limita l'utilizzo a lungo termine, rendendola più adatta ad un trattamento acuto piuttosto che preventivo.
L'automedicazione è sempre più di moda. Il termine, che gli esperti preferiscono al più popolare ma ambiguo "medicina fai-da-te", indica l'abitudine ad affrontare autonomamente i propri piccoli problemi di salute. Tuttavia, l'autogestione della salute non è né facile né priva di rischi e non può trasformarsi in un'automedicazione selvaggia, magari influenzata dalle campagne pubblicitarie sempre pronte a promettere effetti miracolosi dei propri prodotti pur di incrementare le vendite. Le persone cercano di informarsi da sole sui rimedi e le possibili cure contando sul passaparola e fonti poco attendibili che potrebbero non essere affidabili o del tutto errate. Sul web vengono diffuse informazioni contrastanti tra loro e confuse, prive di fondamenta scientifiche che spesso causano la mal interpretazione del concetto cura e prevenzione. Ciò senza il consulto di un medico competente, porta ad un uso scorretto di medicinali e sostanze. L'informazione sembra infatti il nodo centrale della questione: per curarsi da sé senza correre rischi vi sono regole precise che paradossalmente rilanciano il ruolo delle figure esperte come supporto importante nel processo di educazione del futuro "paziente autogestito". Per questo motivo bisogna motivare il paziente a rivolgersi sempre a figure competenti quali possono essere il medico, il farmacista e l'erborista. I campi dell'assistenza comprendono la prevenzione, la riabilitazione, la cura e l'ambito palliativo.
L'abuso e l'utilizzo inappropriato degli antibiotici hanno contribuito alla comparsa di batteri resistenti. Il problema è ulteriormente aggravato dalla auto-prescrizione di antibiotici da parte di individui che ne assumono senza la prescrizione di un medico qualificato. Nel 2009 un’indagine statistica ha evidenziato l'Italia come paese con il consumo maggiore di antibiotici, su un campione di 1039 il 57% ha dichiarato di aver usato antibiotici l'anno precedente, contro una media europea del 40%. A questo valore si affianca l'utilizzo degli antibiotici contro l'influenza, un utilizzo improprio che va contro alle indicazioni terapeutiche di questi farmaci, in Italia il 23% ha ammesso di aver preso antibiotici proprio per combattere raffreddore e influenza, e il 47% dei totali intervistati crede che sia efficace come rimedio. Questo uso improprio di antibiotici contribuisce allo sviluppo di resistenze batteriche che negli anni sta diventando un fattore sempre più importante.
In Iran su 96 ceppi di E.Coli, responsabile di cistite e pielonefrite, è stato osservata una resistenza fino all'80% dei ceppi con gli antibiotici (amoxicillina e cefalosporine). Ciò è dovuto all'aumento di resistenza tra i comuni uropatogeni e all'escrezione rapida dal tratto urinario. Dati provenienti da antibiogrammi e profili di sensibilità hanno dimostrato un allarmante aumento della prevalenza di resistenza al trimetoprim-sulfametossazolo, fino al 30% nel alcune popolazioni. L’uso e spesso l’abuso di antibiotici sta sempre più acquistando rilevanza. Per questa ragione, la possibilità di utilizzare una sostanza ben tollerata tramite l'alimentazione che esplichi un effetto antimicrobico con meccanismi d’azione differenti dagli antibiotici classici, può essere considerata, a tutti gli effetti, una risorsa importante da non sottovalutare, in particolare per le persone con problemi nell'assunzione di antibiotici.